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‘sti giovanotti de ‘sta ROMA BELLA

Roma, e soprattutto la romanità, da sempre grandi protagoniste di musica, cinema e teatro.

Erano i primi anni del ‘700 quando a Roma nacque Giuseppe Gioacchino Belli, per molti semplice poeta romano, ma per tanti altri il primo a delineare un realistico profilo di quella che, nel corso dei secoli, è diventata la tipica figura dell’abitante romano.

Autore di innumerevoli sonetti che descrivevano in dialetto usi e costumi il ceto più popolare della Città Eterna dei quei tempi, il Belli ha consacrato la romanità come lui stesso dice nell’ “Introduzione alla raccolta dei sonetti”. “Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene un’impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo.

Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza.”.  Circa un secolo più tardi Carlo Alberto Salustri, meglio conosciuto come Trilussa, seguì le orme del Belli con la poesia romanesca prendendo spunto dalla gente semplice e dall’aria che si respirava tra le strade di Roma. Entrambi i grandi poeti hanno omaggiato la capitale della maestosità che le spetta, dichiarandole amore e devozione in più di qualche verso: “Si moro e poi rinasco, prego Dio d’arinasce a Roma mia!”. (G. G. Belli)   Insieme ai versi scritti acquistano importanza gli stornelli romani, originariamente componimenti improvvisati in rima, cantati per le strade dal popolo e che trattano la romanità più pura della tavola, la sofferenza dei carcerati di Regina Coeli (prigione sul Lungotevere trasteverino), la vita quotidiana tra i vicoletti, l’amore in ogni sua forma. Complice lo sviluppo della discografia e la bravura degli interpreti, gli stornelli diventano famosi non solo a Roma e lanciano nomi che ancora adesso sono apprezzati in tutto il panorama italiano. Lando Fiorini, Alvaro Amici, Gabriella Ferri sono solo alcuni dei grandi artisti che hanno reso celebri canzoni popolari come “La società dei magnaccioni”, “Te c’hanno mai mandato a quer paese”, “Cento Campane”. Si autodefiniscono nel “manifesto” degli stornelli di Nino Manfredi, “Tanto pè cantà”: “..canzoni belle e appassionate, che Roma mia m’aricordate, cantate solo pe’ dispetto ma co’ ’na smania dentro ar petto..”  E si sa, dalle canzoni nascono storie e sentimenti, che inevitabilmente vengono portati sul palcoscenico con successo. Risale al 1962 la prima edizione di “Rugantino”, commedia musicale realizzata da Garinei e Giovannini, rappresentata per la prima volta al teatro Sistina di Roma. Enorme successo, tutt’ora rielaborato e replicato (tra le nuove edizioni la più riuscita è quella del 1998 con Valerio Mastandrea), racconta la storia tragicomica di Rugantino, giovane svogliato e spaccone della Roma del XIX secolo che si troverà innamorato della bella Rosetta e condannato a morte per conquistare l’onore e il rispetto di chi l’aveva sempre considerato poco meno di niente.

Oltre alla bella storia, decretano il successo dell’opera la colonna sonora composta dai stornelli (“Roma nun fa la stupida stasera” resta indimenticabile) e i protagonisti Nino Manfredi e Aldo Fabrizi, due compianti e memorabili attori dello spettacolo romano. Ed è proprio qui, a inizio anni ‘60, che Roma da il meglio di sé: moltissimi attori romani di questo periodo contribuiscono alla nascita della commedia all’italiana, filone cinematografico che rispecchia l’Italia del periodo, quella del boom economico, socialmente emancipata, con vizi e virtù, comica e tragica allo stesso tempo; in maniera riuscitissima, unisce alle situazioni comiche una sottile ironia, che a volte può anche sfociare in momenti di profonda amarezza e drammaticità. Il genere racchiude alcuni dei più grandi nomi di sempre: oltre a Totò e Aldo Fabrizi, precursori del genere, indiscussi protagonisti dei primi passi della commedia sono Nino Manfredi, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni per poi trovare, qualche anno più tardi Lino Banfi, Gigi Proietti, Carlo Verdone; inoltre non possiamo non aggiungere le attrici Monica Vitti e Sofia Loren e i registi Vittorio De Sica, Steno, Dino Risi e Mario Monicelli. Questi e una lunghissima lista di grandi nomi hanno contributo a rendere celebre questo grande periodo cinematografico, che ha sfornato titoli come “I soliti ignoti” (M. Monicelli, 1958) e “Divorzio all’italiana” (P.Germi, 1962), solo per citarne alcuni. Le ambientazioni rappresentano l’Italia in tutte le sue sfaccettature, ma inutile dire che Roma, nella maggior parte dei film, ha fatto da protagonista, sia perché inizialmente la commedia all’italiana nasce a Cinecittà, sia perché la maggior parte degli attori che hanno maggiormente contribuito sono romani chi per nascita, chi per adozione. Il personaggio del tipico romano amante del vino e della tavola, furbo e simpatico, viene esportato in tutto il mondo con grande successo.

I riti, i detti popolari e le tradizioni di Roma appartengono da secoli ai romani, che ne vanno fieri e che amano far conoscere il loro modo di essere. Con quella parlata estrosa e quella spavalda simpatia il romano è da sempre una delle rappresentazioni preferite da tutto il panorama dello spettacolo: la romanità è l’essenza del cittadino della Capitale, quell’emozione che da passare sotto il Colosseo o girare tra le casette e le osterie di Trastevere, ricche di storia e che rendono tanto fiero il romano, quel romano un po’ brusco e spesso considerato cafone, ma tanto “bono de core” e tanto devoto a Roma sua. Quella Roma così “bella quanno è sera”, “così grande quanno è er tramonto”, la Roma Città Eterna.

Chiara VAGNI

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