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da 8 1/2 a NINE

A distanza di 47 anni, rivive al cinema il mito del maestro Fellini, in un musical dal cast stellare e dai toni vivaci e sensuali.

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Nel 1963, dopo il grande successo della “Dolce Vita”, Federico Fellini porta sugli schermi probabilmente il suo più grande capolavoro: “8 ½”, titolo che nasce dal numero delle sue realizzazioni, cioè otto film ed un cortometraggio.

Come disse lo stesso Fellini “è la storia di un regista che non sapeva più qual era il film che voleva fare”. Ci troviamo nell’amatissima e decantata Roma degli anni ‘60, stiamo parlando di Guido (Marcello Mastroianni), regista in crisi creativa e in crisi con se stesso, circondato da donne (la moglie Luisa, l’amante Carla, la musa ispiratrice interpretata da un’intensa Claudia Cardinale), alle prese con la realizzazione di un film che non c’è e che non ne vuol sapere di venir fuori. “8 ½” è strutturato sull’analisi interiore di Guido che non riesce a mettere sullo schermo le sue elaborazioni mentali; infatti, realtà, ricordi e immaginazione si alternano continuamente e creano una sorta di diario sull’evoluzione di un film, che diventerà poi il film stesso. E’ evidente che Guido non è altro che la proiezione dello stesso Fellini: in un’intervista a Giovanni Grazzini, famoso critico cinematografico, egli ricorda quanto fossero astratte ed incerte le idee su questo nuovo, attesissimo film. Ma del resto si sa che il genio smarrito crea il capolavoro: “8 ½” vince due premi Oscar, tra cui quello per il miglior film straniero. La pellicola stravolge l’intero panorama cinematografico italiano, nasce lo stile “felliniano” e lo stesso regista, per altro personaggio dallo spiccato senso dell’umorismo, in una celebre battuta afferma che “aveva sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo!”.

Nel corso degli anni, Federico Fellini e i suoi film diventano fonte d’ispirazione per i registi di tutto il mondo; lo stesso “8 ½” nel 2003 sbarca a Broadway in un musical interpretato da Antonio Banderas e tutt’ora replicato.

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Ed è proprio ripartendo da qui che Rob Marshall (regista statunitense, lo stesso di “Chicago”) crea “Nine”, portando sullo schermo un film che unisce le atmosfere felliniane a quelle scanzonate, tipiche del musical. Protagonista è Daniel Day-Lewis, ed è inutile dire che per reggere l’inevitabile confronto con Mastroianni, non bastava interpretare Guido secondo copione. Day-Lewis ha dovuto dare al personaggio un’elaborazione del tutto personale, carismatica e a tratti nevrotica; era fondamentale entrare nella sua psicologia e adattarlo a se stesso, facendo molta attenzione a differenziarsi dal grande Marcello, che ancora adesso l’interpretazione di Guido ce l’ha cucita addosso. Come in “8 ½”, parte integrante della pellicola hollywoodiana è il rapporto che il protagonista ha con ogni sorta di figura femminile, tutte le donne che lo circondano hanno un ruolo ben preciso: Marion Cotillard interpreta la moglie Luisa, dolce ed elegante, la più grande debolezza di Guido; difatti egli, sotto pressione per il suo film, continuamente assillato dall’opinione pubblica, troppo preso dalla sua amante (una Penelope Cruz più sensuale che mai!), dimentica quanto Luisa sia importante per lui; è continuamente in fuga da questo rapporto, ma inconsapevolmente non può farne a meno. Claudia, eterea e raffinata nei panni della diva già affermata, musa incontrastata di Guido, è egregiamente interpretata da Nicole Kidman, che riesce a mantenere inalterata da classe che caratterizza il personaggio che fu della Cardinale. Non mancano inoltre i tributi al cinema italiano: infatti il cast ospita in ruoli secondari attori delle nostre scene come Ricky Tognazzi e Valerio Mastandrea, ma degna di nota è la partecipazione di Sofia Loren nei panni della madre del protagonista: fa sporadiche apparizioni caratterizzanti i ricordi d’infanzia di Guido, che, nonostante sia morta, la immagina ancora acconto a sé, sottolineando l’importanza che l’uomo (in particolare quello italiano!) conferisce alla figura materna. Costumi lussuriosi, canzoni e balletti ben fatti rendono questo film fondamentalmente troppo americano; ma le ambientazioni romane e la psicologia del film, sono un omaggio a quello che fu il grande originale.

Sarebbe stata un’idea troppo presuntuosa tentare di farne un remake: Marshall è stato abile nel fare un film del tutto personale restando però fedele alla trama e alle intenzioni iniziali, che prevedevano una morale principalmente veritiera raccontata in maniera poetica, quasi favolistica. Fellini, ritraendo Guido in tutte le sue debolezze, parla al mondo non solo del blocco creativo di un’artista, ma del disagio interiore di un semplice uomo di fronte alla vita e alle sue molteplici sfaccettature. La scena finale di “8 ½”, accompagnata dal sottofondo di una marcia da circo, è un grande e lineare girotondo, con tutti i personaggi che hanno caratterizzato la vita e il film di Guido, metafora del ritrovato equilibrio interiore del protagonista. In uno dei più bei dialoghi, Guido, parlando con Claudia, da voce alla grande verità del film dicendo che “soprattutto non ha voglia di raccontare un’altra storia bugiarda”. E a distanza di 47 anni, il successo di questa storia ci conferma che il grande maestro è riuscito nel suo intento.

Chiara VAGNI

FONTI BIBLIOGRAFICHE:

–  Federico Fellini, “Intervista sul cinema” a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza

–           Mario Verdone, “Federico Fellini”, ed. Il Castoro

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